sabato 26 febbraio 2011

lunedì 1 febbraio 2010

Pillole d'Arte: Hermann Nitsch



Hermann Nitsch nasce a Vienna in Austria nel 1938. Fin dal 1957 concepisce, intimamente legato alla tradizione cristiana, il teatro dell'orgia e del mistero, "Orgien Mysterien Theater", una nuova forma di opera d'arte totale in cui, nel corso di sei giorni, si mettono in scena azioni reali e si coinvolgono tutti e cinque i sensi. Ideatore e fondatore di Arte in azione, è profondamente coinvolto nell'attività del gruppo, a Vienna, a partire dagli anni '60, incorrendo ripetutamente in problemi con la giustizia, a causa delle sue forti provocazioni. La prima Aktion sperimentale (Blood Organ) si svolge nel dicembre 1962 a Vienna e dura circa 30 minuti. Un uomo è incatenato come se fosse crocifisso e viene coperto con un lenzuolo bianco. L’artista versa sulla sua faccia del sangue che si riversa sul lenzuolo. Durante le sue performance – ad oggi oltre 120 - I primordiali istinti umani, che l’artista ritiene repressi dalle norme e dalle imposizioni sociali, riemergono prepotentemente. Ricorda i suoi esordi l’artista: “il colore della carne, del sangue e delle interiora era diventato importante. Dominava il rosso. Il monocromatismo assunse un ruolo arcaico. Tutto si orientava verso il colore dell’estasi, della vittima del sacrificio, della passione, del sangue, della carne”. Il modo in cui il sangue (o il colore) si fissano sulla superficie del telo, scorrendo liberamente verso il basso, sarà lo stesso in cui negli anni seguenti Nitsch crea gli Shuettbilder, o “dipinti versati” che caratterizzano la sua produzione. In queste opere, è forte il richiamo ai relitti di performance, ovvero i teli utilizzati durante l’azione, impregnati di sangue animale. I motivi degli oli su tela sono assolutamente ricorrenti. Non importa infatti l’originalità della rappresentazione, o la ricerca di elementi figurativi, ma piuttosto la ripetizione di un piano d’azione essenzialmente identico. Dal 1971 realizza rappresentazioni a Prinzendorf, sua residenza austriaca, attività che combina con esposizioni, conferenze e concerti in U.S.A., Europa e Austria. Nel corso degli anni il suo teatro di performance diviene via via più complesso. Vengono utilizzati animali, come agnelli e vitelli, provenienti dal mattatoio e sfuggiti al ciclo della catena alimentare. Questi capri espiatori vengono sacrificati su croci lignee e sviscerati durante un rito di espiazione collettivo a metà tra simbologia cristologica e pagana. L’artista orchestra le performance che durano anche sei giorni consecutivi, al pari di un sacerdote o di un direttore sinfonico. Il sottofondo delle Aktionen è infatti la partitura di sue composizioni, simili a litanie dei monaci ortodossi. Alla fine degli anni ’80 inizia ad utilizzare anche altri colori rispetto ai consueti nero, rosso e viola. Del resto il percorso artistico di Nitsch, simile ad un cammino spirituale, non può fermarsi solo alla pittura. I dipinti versati sono molto simili uno all’altro, e, allo stesso modo delle azioni, comunicano l’intenzione di far vivere un’intensa esperienza esistenziale. Nitsch ha esposto al Kunstverein di Colonia nel 1970, a Documenta V e VII di Kassel, alla Biennale di Sidney nel 1988, all'Akademie der Künste di Berlino nel 1993, al Centre Georges Pompidou nel 1994, allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1995. Il Palazzo delle Esposizioni di Roma gli dedica una retrospettiva l’anno successivo, cui seguono altre due importanti retrospettive al Konsthallen Goeteborg in Svezia e al Musee d’Art e d’Histoire in Lussemburgo. Negli ultimi anni si susseguono mostre antologiche, cui Nitsch alterna le sue infinite performances. Gli viene conferito l’Austrian State Prize in occasione della 122 Aktion al Burgteather di Vienna nel 2005. Nel maggio 2007 la città di Mistelbach, a nord di Vienna ha inaugurato un museo a lui dedicato, l’Hermann Nitsch Museum.

venerdì 10 aprile 2009

Pillole d'Arte: Alighiero Boetti



Alighiero Fabrizio Boetti nasce il 16 dicembre 1940 a Torino, in una famiglia originaria del Monferrato che può solo vantare ricordi di classe e agiatezza decisamente tramontate. Il padre Corrado è avvocato, la madre Adelina Marchisio è stata promettente violinista, ormai convertita alla vita domestica. Con il fratello maggiore, Gualtiero, Alighiero vive un'infanzia triste e stentata, dopo che il padre ha abbandonato moglie e figli. Studi approssimativi e svogliati, fino all'Università (Economia e Commercio), presto abbandonata. Energia mentale tutta spostata su altro, letture e fantastici sogni, compresi quelli che riguardano l' antenato Giovanni Battista Boetti nato a Piazzano nel ducato del Monferrato nel 1743, missionario domenicano a Mossul (l' antica città mesopotamica diventata metropoli cristiana nell' Asia Minore ottomana, oggi territorio iracheno ), il quale si era convertito all' esoterismo islamico persiano, il sufismo, e sotto il nome di "Profeta Mansur" guerreggiò contro l' imperialismo zarista nel Caucaso, dall' Armenia alla Cecenia. Così a diciassette anni Alighiero scopre l' arte tantrica alla Galleria Galatea e gli acquarelli di Wols alla Galleria Notizie. L'anno dopo, sempre da Luciano Pistoi, incontra l'opera di Fontana, poi gli americani Gorky e Rothko, i disegni di Henri Michaux e Cy Twombly nel '63. Nella Provenza francese, a Vallauris, il giovane Boetti compra di tanto in tanto ceramiche di Picasso e di altri artisti per rivenderle in Italia, un' attività di sopravvivenza che continuerà ancora per qualche anno. Nei due anni seguenti (fino al '64) scopre Parigi e vi soggiorna quasi in permanenza. Nel giugno il ritorno stabile a Torino. Nell' appartamento-studio di via Principe Amedeo, si dedica a grandi disegni a china nera su cartone, "costringendo" il proprio lirismo a ricalcare fredde sagome di vecchie "guarnizioni" di motori FIAT, creando effetti da incisioni attraverso concentrazioni variabili d'inchiostro. Vi inserisce, camuffandole, alcune scritte (lettere e cifre tipo targhe ). Poi passa a una serie di disegni come ombre nere stagliate: apparecchi industriali, lampade da scrivania, microfoni, cineprese e macchine fotografiche, cioè oggetti di registrazione, amplificazione e comunicazione. 1966. Lavoro intenso in solitudine, nel piccolo studio, un'ex portineria in via Montevecchio. Svolta radicale dalla carta all'oggetto tridimensionale, con materiali non pittorici. Questi primi lavori (vertevano sull'energia di "cose" che sfondavano un piano murale) si sono persi, tacitamente rinnegati. Vengono poi oggetti minimali, di cui alcuni esposti nel gennaio '67 da Christian Stein, altri a tutt'oggi sconosciuti, salvo ai frequentatori della collezione privata Stein. 1967. Con l'inizio dell' anno, l'uscita pubblica, senza alcun preambolo di partecipazione a mostrecollettive: una personale da Christian Stein. Nella profusione di idee, gesti e oggetti vi è già l'ossessione della scrittura e della bidimensionalità. Alighiero dirà nel '72 a Mirella Bandini: "A me la scultura o l'oggetto non ha mai interessato". Tra la mostra da Stein e la seconda personale (Galleria La Bertesca di Genova, a dicembre) partecipa a tutte le collettive che fondano l'arte povera, da Torino a Milano e Genova. 1968. Il 7 febbraio, seconda personale alla Galleria Stein, poi il 23 aprile, a Milano, altra personale da Franco Toselli con presentazione di Tommaso Trini. È della primavera '68 il fotomontaggio dei Gemelli: gesto creativo, a rischio della propria identità, quindi gesto generoso che confonde e travalica le barriere istituzionali della produzione artistica. Boetti fa stampare e spedisce Gemelli a una cinquantina di amici, con battute manoscritte più inventate di tanti slogan ideologici del momento. Da questa doppia immagine deriverà, qualche anno più tardi, la nuova firma "Alighiero e Boetti". La sua personale sovversione avrà sempre questa connotazione più dadaista che marxista, non porterà mai su qualche immediata funzione socio-umanitaria dell' arte, ma sullo statuto di incondizionata e irriverente libertà dell' espressione artistica: quando, nel caso della cartolina, la tecnica (non artistica), la quantità (indefinita) e il dono che ne viene fatto, tutto impedisce di stabilire un "pedigree" d'arte. È già avvenuto lo stesso con il misterioso Manifesto con nomi di artisti e segni codificati. Avverrà più tardi con i grandi fogli di Faccine, colorati da bambini, poi con le 150 serie di arazzetti di parole fatte quadrare, "multipli singoli" (secondo la sua impeccabile definizione) più volentieri regalati che venduti. Nel corso dell' anno partecipa alla ribollente situazione romana (Arco d' Alibert e Tartaruga), poi a Torino, Bologna, Trieste, mostre collettive a ritmo serrato. Eppure Alighiero è scontento, invaso da un senso di eccesso, fino alla " nausea" (dirà lui stesso) raggiunta con l' apparentemente felice appuntamento autunnale ad Amalfi, "arte povera, azioni povere". Segue una severa inversione di marcia. 1969.È l'anno della collettiva di Berna "When Attitudes Become Form" (a cura di Harald Szeemann). Il 19 aprile la mostra personale da Sperone presenta il lavoro elaborato nell' inverno 1968-1969, rivelando la profonda modificazione avvenuta: si tratta della vetrata Niente da vedere, niente da nascondere, "scultura" tutto sommato bidimensionale, poi la sagoma per terra Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969; e al muro Ritratto di Walter De Maria, opera quasi invisibile (oggi dispersa), tra vetro e carta cartone. Una mostra scarna e silenziosa. Boetti dedica ore e ore di disegno ossessivo al Cimento dell'armonia e dell'invenzione, puro processo mentale trascritto su carta quadrettata (il primo esemplare si intitolava 42 ore ed era completato dalla registrazione del silenzio e di fievoli rumori durante il tempo di lavorazione). A luglio nasce il primo figlio Matteo. Inizio dei Viaggi postali: tra i "viaggiatori" virtuali, il piccolo Matteo, amici vari e personaggi mitici come Duchamp. 1970 . Si conclude la serie dei Viaggi postali. Preso gusto per l' andirivieni postale, Alighiero inizia i primi lavori basati su permutazione e combinazione di francobolli. Per tutta l' estate si ritira, accampato nella galleria milanese di Franco Toselli, chiusa per ferie: porta al suo sviluppo estremo il gioco speculare tra segni combinatori su una superficie quadrettata,avviato nel '67 su scacchiera di legno e poi con segni colorati su fogli da disegno, creando Estate '70, un rotolo di 20 metri, con migliaia di bollini autoadesivi. Lo stesso meccanismo colorato dà luogo a un progetto di piastrelle da bagno, che non troverà mai illuminato produttore. Alla fine dell' estate sogna, nella sua mania seriale, di mettere in ordine progressivo o decrescente persino la geografia: e scommette sulla classificazione dei fiumi del mondo, ben oltre i modesti elenchi proposti nelle enciclopedie. Alighiero è chiamato quell' anno nelle rassegne europee che fanno il punto sulla nascita dell' arte concettuale. A Lucerna, 31 maggio: la mostra "Processi di pensiero visualizzati" (a cura di J.-C. Amman ), interamente dedicata alla situazione italiana, è il proseguimento naturale di "When Attitudes Become Form", la differenza stando nel radicale passaggio da "attitudini" (anzitutto corpo, gesti e materiali) a "processi di pensiero" (puramente mentali). Alighiero invia cinque disegni-segni per il catalogo, che di fatto costituisce la mostra. A Torino, Galleria Civica d' Arte Moderna, 12 giugno: storica presentazione dei legami tra arte povera, concettuale e land art, in una mostra curata da Germano Celant. Infine a Roma, in novembre, il terzo grande appuntamento dell' anno per i giovani italiani: "Vitalità del negativo" (a cura di A. Bonito Oliva, Palazzo delle Esposizioni). Nella stessa stagione concettuale, ad Hannover, Gerry Schum presenta tra i video di artisti quello in cui Alighiero scrive sul muro contemporaneamente con le due mani. 1971. Alighiero termina un lavoro in progress avviato nel '67, legato alla geografia politica e all' informazione (come molte opere successive). In questo caso sono le sagome, ricalcate dalla prima pagina del quotidiano "La Stampa", dei territori in guerra nel mondo (per quattro anni, a contare dai "sei giorni" di Moshe Dayan nel giugno '67, fino al Bangladesh nel marzo '71). Esporrà da Sperone il 3 luglio le lastre di rame fatte incidere a partire dalle dodici tavole di carta. La legislazione degli eventi politici attraverso l' iconografia sommaria dei media, la trascrizione dell' incontornabile data del giornale, fanno di Boetti un cronista, un acuto testimone del suo tempo. Era da anni che si appassionava anche per le bandiere nazionali, mutevoli quanto la storia. Nel '69 aveva colorato ad acquarello e pastelli (con tutte le bandiere) una grande pagina d' atlante, la carta politica del mondo. Ma Alighiero è stanco del ritmo delle mostre, delle costrizioni organizzative. Inoltre si sono ormai affievoliti i forti legami interpersonali dell' inizio dell' arte povera. Un po' per caso, il 15 marzo parte per l' Afghanistan, dove rimane più di un mese. Sarà l' inizio di un rituale, due soggiorni all' anno fino al '79. A Kabul fa ricamare due pezze di stoffa con due date: data presunta della propria morte (nel 2023) e centenario della nascita. E' l' inizio dei lavori ricamati. A Kabul in settembre, porta con sé una grande pezza di lino sulla quale ha fatto proiettare da Rinaldo Rossi, l' amico grafico genovese, la mappa del mondo colorata secondo le bandiere nazionali (come nel precedente lavoro su carta). Ci vorrà un anno alle giovani ricamatrici afgane (della scuola diretta dalla signora Kandi) per finire il lavoro. E' durante questo secondo soggiorno che nasce l' One Hotel, un villino con giardino affittato nel quartiere residenziale Sharanaw, iniziativa allora facile, sotto la monarchia di Zair Shah. La gestione è affidata alla vocazionealberghiera del giovane Dastaghir, il quale suggerisce il nome, che piace molto ai gemelli Alighiero e Boetti. Ovviamente l' operazione frutterà soltanto e non sempre, la sopravvivenza di Dastaghir (in compenso la migliore stanza tocca all' artista durante i suoi soggiorni). Le sorti dell' albergo seguiranno quelle del paese. Verrà chiuso nel '79. 1972. Inizio dei lavori a biro con Mettere al mondo il mondo. Inizio dei ricami basati sulla quadratura delle parole, quadratura avviata nel '70 in ghisa, in pizzo ecc.: cosi nasce Ordine e disordine (la versione definitiva, un insieme di 100 pezzi, è del '73). In marzo nasce la figlia Agata. Presenza in importanti situazioni collettive: "De Europa" a New York da John Weber in aprile, poi a giugno Spoleto, poi la XXXVI Biennale di Venezia. Nuovi lavori postali, realizzati nei viaggi, perciò non più con francobolli italiani. Alighiero comincia a inserire nelle buste una serie di fogli da raccogliere poi in libri, o da esporre in pannelli alternati con quelli delle buste. Nell' autunno ci trasferiamo a Roma, a Trastevere. Le finestre dello studio danno su Santa Maria in Trastevere con il suo bel campanile. Prima di Natale un altro torinese, Gian Enzo Sperone, si installa anche lui a Roma e inaugura la sua nuova galleria, in piazza dei Santi Apostoli. 1973-1974. Il lavoro si dilata e si divarica. In parte viene delegato ad altre mani (lavori a biro, ricami) e ad altre teste per i lavori "aperti" (aggiornare le bandiere, seguire le scadenze dei telegrammi ecc.). Ma in gran parte viene realizzato dall' artista stesso: sia, quando è a Kabul, i disegni da inserire nelle buste e le permutazioni di francobolli (il culmine è la serie di 720 lettere da Kabul con altrettanti fogli rilegati poi in volume, il "libro di Dastaghir"); sia, quando a Roma, le esplorazioni dell' aritmetica, Storia naturale della moltiplicazione e successivamente Da mille a mille, o Alternando da uno a cento e viceversa, riprendendo la carta quadrettata abbandonata dopo il '69. Scoperta la bellezza dell' Umbria , acquista un vecchio casale, Casa Frati, nei dintorni di Todi. Diventerà il luogo di stabilità e continuità nel cuore del viaggiatore irrequieto. Boetti si afferma a New York con le due prime mostre personali negli USA: da Weber nel '73, da Sperone nel '74, poi nella prestigiosa selezione "Eight Contemporary Artists" al MOMA. Nel corso dell' estate 1974 esplorazione solitaria del Guatemala, donde riporta la serie di fotografie Guatemala, sul tema del sé e dell' altro. 1975. Omaggio a Pino Pascali, forse, oppure premonizione della prossima stagione politica italiana, Alighiero inizia l' anno con un beffardo intervento da bombarolo, nelle "24 ore su 24" all' Attico di Fabio Sargentini: 50 schizzi di bombe sommarie su fogli extrastrong. Poi via, per un lungo soggiorno a New York, con tutta la famiglia. Seconda mostra personale da Weber l' 8 febbraio, seminari universitari, progetti editoriali. Di ritorno in Italia, nuova tendenza nei lavori a matita: appaiono misteriosi emblemi come Giogo o Saint Patrick, vari "segni e disegni" (sarà il titolo della mostra alla Marlborough nel '77) i quali verranno ripresi nelle due grandi composizioni su carta velina, Collo rotto braccia lunghe e Gary Gilmore. In estate viaggio solitario in Sudan e in Etiopia (a Harrar, un omaggio al Rimbaud abissino), mentre la sua opera è presente alla XII Biennale di San Paolo del Brasile. In ottobre con Rinaldo Rossi intensifica il riordino, avviato già da tre anni, della profusione di disegni, foto, gesti e idee in vista di una grande "cartella-memoria" che si intitolerà Insicuro noncurante, con relativo "manualedi conoscenza" affidato a Giovan Battista Salerno. 1976-77. 19 maggio '76, Galleria Ugo Ferranti, Roma, presentazione della Cartella Insicuro noncurante. 31 marzo '77, Galleria dell' Ariete, Milano, presentazione dell' Orologio annuale, inizio di un altro regolare appuntamento con il tempo. In Aprile, al suo undicesimo viaggio in Afghanistan, porta con sé Matteo, otto anni, per un mese. Al ritorno lavora con il disegnatore Guido Fuga al trittico degli Aerei, che viene presentato il 29 novembre alla Galleria Il Collezionista di Roma. Prima di Natale esce finalmente il libro The Thousand Longest Rivers in the World, grazie a una tipografia di Ascoli Piceno. 1978. Antologica di Boetti alla Kunsthalle di Basilea (a cura di J.-C. Amman): quasi 60 pezzi, tra cui alcuni lavori oggi scomparsi (Dossier postale ad esempio), e le ultimissime opere. Tra queste, Gary Gilmore, Collo rotto braccia lunghe e il Libro dei fiumi. In quell' occasione è girato il film di Emidio Greco Insicuro noncurante, a tutt'oggi fondamentale film-documento (e non "documentario"). 1979. Un' annata sotto il segno del lutto. Inizia con la perdita della madre, Adelina, il 2 marzo (il grande disegno Regno musicale è un omaggio a lei). Finirà con la perdita del "suo" Afghanistan, a dicembre. Nel chiostro di Gavirate, il 5 maggio, Alighiero dà il via a un nuovo tipo di quei lavori "coreografici" da lui chiamati "personali collettivi": lavorare con tanti "omonimi" (anonimi/omonimi), far disegnare agli abitanti del paese i grafici di Alternando da uno a cento e viceversa... (in vista di un pavimento di piastrelle), far colorare da bambini le Faccine da lui disegnate e stampate come manifesto già nel '77. Sotto i portici del chiostro sono esposti, assieme ai fogli colorati dai bambini del paese, i due fogli di Faccine "capostipiti", quello di Alighiero e quello di Agata. A giugno,a Bologna, nella collettiva "Ars combinatoria", espone Kabul (720 buste affrancate, con il libro di Dastaghir). A settembre non è il "solito" viaggio in Afghanistan: sarà l' ultimo, e l' ultimo incontro con Dastaghir. A dicembre i carri armati sovietici occupano Kabul, chiudono le frontiere e l' aeroporto. Dastaghir, richiamato soldato, passerà invece dalla parte dei mujadin. Durante l' autunno, dopo la scuola, Agata, Matteo e Alighiero giocano, costruiscono il "parco degli animali" nello studio: opera senza fine, del tutto fortuita, allegra, ordinata quanto disordinata, colta per caso dall' obiettivo di Giorgio Colombo e cosi pubblicata in alcune riviste. 1980. Tra le mostre, una personale a New York, da Salvatore Ala, una collettiva a Londra, alla Hayward Gallery, "Constrution in the Art of 70's", in giugno la partecipazione alla Biennale di Venezia e una mostra personale a Tokyo (27 giugno). Ma il gusto di Alighiero per i paradisi artificiali giunge in quegli anni a condizionare fortemente l' andamento della sua salute, del suo lavoro e dei suoi affetti. Non a caso ciò avviene nel contesto sociale, a dir poco plumbeo, della seconda metà degli anni Settanta. E' passato per lui il tempo di trattare in congegni astratti il tema del tempo e della propria finitudine(come faceva con i telegrammi o con le date lapidarie). Ora è attento al tempo come conto alla rovescia, e alla "patologia" dell' immagine di morte nei rotocalchi. Si concentra ad esempio sul personaggio del bandito sardo Grazianeddu Mesina, con il suo allevamento di colombi nella cella della prigione, o su quello di Gary Gilmore (notando che ha la sua stessa età ), il condannato americano doppiamente trasgressore in quanto esige che la sentenza venga eseguita. Nell'opera a matita ricavata da questo caso di assassino assassinato, Alighiero aggiunge una serie di corpi, morti ammazzati, tratti dai giornali nei mesi successivi all' esecuzione di Gilmore. Non a caso, di questa sequenza da requiem fa parte il cadavere di Pasolini. Anche Alighiero è un trasgressore che sa assumere con un'eleganza per niente analgesica, il dolore che accompagna le proprie scelte. Accanto alle tragiche faccende umane appare il tema che diventerà per lui un lungo ciclo, La natura, una faccenda ottusa, una riflessione sulla disordinata proliferazione dei vari "regni" (già accennata nel '78 con Regno animale). 1981-82. Il suo lavoro si afferma in Francia: con un' importante antologica da Chantal Crousel a febbraio, poi nel quadro della grande mostra del Centre Pompidou "Identitè italienne - L' art en Italie depui 1959". In Italia due importanti personali: a Torino da Franz Paludetto, col titolo "ammazzare il tempo", poi a Roma da Mario Diacono. Ancora un appuntamento collettivo importante: "Avanguardia transavanguardia" di A. Bonito Oliva alle Mura Aureliane a Roma. Il rapporto coniugale si spezza tra l' 81 e l' 82. Nell' estate '82, alle Cinque Terre, mentre il suo lavoro è presente a Documenta 7 di Kassel, Alighiero ha un grave incidente d' auto che lo immobilizza per due mesi. 19843-84. Riprende a lavorare e le mostre s' infittiscono di nuovo: Roma, Torino, Milano, ancora Milano al PAC con Carla Accardi, e tra le collettive una rievocazione, al Kunstverein di Colonia, "Arte a Torino dal 1965 al 1983". Alighiero si entusiasma per il suo nuovo studio in via del Pantheon, di fronte all' amatissimo tempio che d' ora in poi ricorrerà nei suoi appunti e disegni e fornirà lo spunto per un libro collettivo di testimonianze e fotografie, Accanto al Pantheon. All'inizio del '84, nella mostra collettiva di Los Angeles "Il modo italiano", dislocata tra i vari campus della California University, realizza un mosaico murale permanente di 3 x 3 metri, traduzione in ceramica bianca e nera del meccanismo di Alternando da un a cento e viceversa, affidato al disegno degli studenti. Il 12 giugno partecipa a"Coerenza incoerenza dell' arte povera al 1984" (a cura di Germano Celant) alla Mole Antonelliana di Torino. Ritrova la collaborazione di ricamatrici afghane in Pakistan. L' anno si chiude con una personale a New York da Weber e con un' ampia retrospettiva "Alighiero & Boetti" (con la " &") alla Pinacoteca Comunale di Ravenna. In quell' occasione viene edito un libro-catalogo a cura di Alberto Boatto e Guido Natti, prima ricerca che documenta in modo puntuale l'insieme del suo lavoro. È da notare nella mostra la presenza dei due arazzi dei Mille fiumi (il verde e il bianco) e nuovi disegni-collages, in cui il fitto brulicare della "natura, faccenda ottusa" evolve verso un'armonia più lieve e felice ("giungle" di tigri, pantere, scimmie, rane, pesci e piscine di tuffatori), opere anticipate come "oeuvres recentès" durante l' autunno alla Galerie Eric Franck di Ginevra.1985-86. In occasione degli "Incontri internazionali d' arte" organizzati a Palazzo Taverna a Roma (maggio) Alighiero presenta 1984, disposto su dodici grandi fogli, con 216 copertine (18 x12) di riviste dell' anno precedente ridisegnate e omologate in bianco e nero. È la sistematizzazione di un procedimento avviato nel '76 e "rodato" nella sequenza Ottobre novembre dicembre 1983. Il 1985 è l' anno in cui tornano i nuovi arazzi ricamati a "Peshawar by Afghan people": Mappe dalle bandiere aggiornate, grandi scacchiere di lettere, la novità di Tutto e di alcuni ricami monocromi. Per una sorta di naturale bilanciamento, alle opere ricamate così lontano e con tempi dilazionati rispondono lavori su carta eseguiti totalmente dall' artista stesso. Compie un secondo soggiorno in Giappone dal quale trae alcune tecniche nuove, lavorando con un calligrafo. In agosto partecipa al festival "Lu presente" a Gibellina. Nel corso del 1986, oltre alla presenza per la terza volta alla Biennale di Venezia, molte mostre personali in musei d' Europa. In particolare allo Stedelijk di Eindhoven e al Nouveau Museé di Lyon-Villeurbanne con un' antologica che ritrova quello spirito di documentazione sistematica sulle proprie tecniche, già avviato nel 1976 con la "cartella" di cui la mostra riprende addirittura il titolo: Insicuro noncurante. 1987-89. Tra le molte personali e collettive, gli appuntamenti museali più rilevanti sono: "Similia Dissimilia, Modes of Abstraction" (Kunsthalle di Dusseldorf, poi a New York, Castelli e Sonnabend, tra '87 e '88); nell' 89 al PAC di Milano "Verso l' Arte povera". Infine a Parigi, Centre Pompidou e La Villette: "Magiciens de la terre" (maggio), che apre per lui il confronto con artisti appartenenti a tradizioni estranee alla cultura occidentale, e con un tipo di produzione che attinge all' artigianato e alla ritualità sacrale. E' in quell' ocasione che André Magnin noterà le complesse affinità con la poetica dell' africano Bruly- Bouabrè. In novembre al Museè de la Ville de Paris, "Art conceptuel". 1990-92. Nel marzo '90, Parigi, la Gallerie Pièces Uniques di Amelio-Brachot espone un intero pavimento in mosaico che riprende un disegno del '72, Passe - partout (in campo musivo, dopo l' esperienza californiana dell' 84, Alighiero ha lavorato con mosaicisti ravennati nell'88 in vista della collettiva "Mosaico e mosaicisti" al Castello Estense di Mesola). Maggio ' 90, sala personale alla Biennale di Venezia e Premio speciale della Giuria. In settembre si risposa con Caterina Raganelli. Il 16 ottobre è tra gli artisti invitati al Museè Cantini di Marsiglia nella mostra della collezione di arte povera del Museè National d' Art Moderne, Centre Pompidou. Nel corso dell' inverno 1990 -1991, due personali a New York (da Salvatore Ala in novembre, da John Weber in gennaio). Predilige nuovi strumenti lavorativi: fogli di carta formato commerciale o fax; cosi nasce la serie da lui chiamata Extra - strong. Ogni foglio è un microcosmo miniato, a matita, inchiostri colorati, collage e timbrature varie, come pagina di un codice, di un diario o racconto in corso. Per quanto riguarda la passione per l' informazione (giornali, riviste e rotocalchi), invece di far trascrivere immagini di copertine in disegni a matita (le sue serie annuali 1984, 1988...), preferisce ora lavorare da solo, senza assistenti disegnatori, fotocopiando in bianco e nero. Ma parallelamente ai lavori di piccolo formato realizzati strettamente in prima persona, "orchestra"ormai opere di dimensioni sempre più cospicue, implicando altre mani, molto tempo e un' organizzazione quasi manageriale. Si tratta di invenzioni concettuali precedenti, rinnovate dall' impatto con una diversa materia prima e con una scala mutata. Cosi nel '91, in Pakistan, intraprende la tessitura di cinquanta Kilim sul tema di Alternando da uno a cento e viceversa in vista dell' antologica del '93, nell' immenso hangar del Magasin di Grenoble: venti tessitori lavorano sui cartoni disegnati da studenti di trenta scuole francesi di belle arti. A Peshawar progetta persino la lavorazione "classica" del tappeto tipo persiano e disegna con i suoi assistenti un immenso primo cartone. Intanto è terminata l' ultima versione della Mappa, ricamata con le bandiere del mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Sempre in vista della mostra di Grenoble programma un immenso lavoro postale basato su una progressione numerica che va da una busta con un francobollo fino a 506 buste con 39.976 francobolli. L'insieme costituisce un grande "carnet de voyage" di plichi viaggianti attraverso la Francia, gestito per settimane dal Museè de la Poste di Parigi. A molti Alighiero sembra affaticarsi, consumarsi nella sua grande regia e cedere ai vecchi demoni. Oltre a numerose personali in Germania, Austria e Francia, vengono esposti a maggio, nella galleria di Emilio Mazzoli a Modena, i dieci arazzi a quattro mani di Boetti e Paladino. A giugno Alighiero partecipa alla collettiva "Reperti" a Rio de Janeiro. Il 28 settembre si apre al Kunstverein di Bonn la retrospettiva "Alighiero e Boetti 1965 - 1991" che proseguirà a Münster e Lucerna. 1993-94. Nel febbraio '93, personale nella sede torinese della Galleria Christian Stein. Risulterà essere l' ultima mostra personale in Italia, esattamente come da Stein era avvenuta la prima, sempre a Torino, nel '67. Estate '93, Biennale di Venezia: più che al Padiglione italiano la presenza di Boetti si segnala essenzialmente nella mostra "Tresors de voyage" a cura di Adelina von Fürstenberg, con i libri di tela rossa presentati, quasi mimetizzati, nella biblioteca dei Padri Armeni nell' isola di San Lazzaro. Nel corso dell' estate gli viene diagnosticato un tumore. La sua scultura Autoritratto, proveniente per occasione da Sonsbeek, è presentata il 26 ottobre nella hall del Centre Pompidou, mentre egli prepara personalmente, forsennatamente, la mostra di Grenoble, dove sarà presente per l' inaugurazione il 27 novembre. Ancora una mostra a Bruxelles, Palais des Beaux - Arts: "Alighiero e Boetti, origine et destination", il17 febbraio '94. Il 24 aprile 1994 Alighiero si spegne nella sua casa in via del Teatro Pace a Roma. L' autunno a New York si trasforma improvvisamente in una celebrazione postuma della sua opera, presente contemporaneamente in quattro mostre inaugurate tra il 4 e il 9 ottobre: "Worlds Envisioned", "dialogata" tra lui e l' altro "magicien de la terre" Frédéric Bruly Bouabre al Dia center for the arts; la personale al PS1 di Long Island, "Alternating from 1 to 100 and Viceversa" (in provenienza dal MOCA di Los Angeles);la mostra tematica "Mapping" al MOMA e "The Italian Metamorphosis" al Guggenheim. New York ancora gli rende omaggio nei mesi successivi con la doppia mostra "Boetti / Richard Long" alla Peter Blum Gallery (febbraio '95) e con la presentazione dell' Autoritratto, la scultura - fontana, alla Sperone Westwater (marzo).

lunedì 5 gennaio 2009

Pillole d'Arte: Piero Gilardi



Gilardi is an international artist who started working in the 1960s with the group Arte Povera and Pop Art carring on following his instinct and creating a link between the different generations of artists.He entered the collection of the gallery after the show dedicated to Mondino in 2005 in a moment of great success for the artist.His artworks are ieces of bushes, forests and part of nature to show inside a house inside vitrines. Inside his Plexiglas boxes a piece of nature as realistic as possible, flowers, rocks, small rivers, etc. The idea given is that is not a representation of nature but it is real nature to be put in a domestic environment.

giovedì 4 dicembre 2008

Pillole d'Arte: William Xerra



William Xerra è nato a Firenze nel 1937, ha studiato al Liceo e all’Accademia di Belle Arti di Brera dove attualmente è Visiting Professor. Vive e lavora a Ziano Piacentino. A metà degli anni Sessanta la parola scritta si pone come elemento fondante dell’opera dell’artista, che caratterizza quasi tutto il percorso del primo Xerra, che si conclude all’inizio degli anni Settanta nel segno “VIVE, logo tipografico che accompagna tutta l’opera dell’artista. Il suo incontro con la poesia visiva si colloca verso il 1967, anno in cui Xerra frequenta intellettuali ed esponenti del “Gruppo 63” che operano tra poesia ed immagine, da Emilio Villa a Corrado Costa, da Antonio Porta ad Adriano Spatola. Degli inizi degli anni Settanta sono: “La Verifica del Miracolo” con Pierre Restany, “Le Buste Riflettenti”, “l libri – oggetto, l’intervento sulle lapidi dismesse” e “I Poemi – flipper” eseguiti con il poeta Corrado Costa. Quando, agli inizi degli anni Ottanta, Xerra “ripensa” alla pittura, tutte queste esperienze tornano nel quadro, inteso come luogo di raccolta incessante di azioni, citazioni, “appunti”. Filiberto Manna lo conferma, nel 1987, uno dei Maestri italiani della pittura-scrittura-pittura.

martedì 11 novembre 2008

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sabato 20 settembre 2008

Pillole d'Arte: Carlo Pace



“Quando ero ragazzo mio papà conosceva tutti i pittori di un tempo, quelli che contavano. Gli spazialisti. Sono nato nel periodo in cui si è sviluppata la corrente informale legato allo spazialismo. Ho frequentato lo studio di Fontana. E sono entrato subito nella mischia. Ritengo di essere sempre stato un contestatore. Mi piaceva andare al cinema a vedere i film di Marlon Brando”. Continua Pace, e ci svela quella che per lui è stata una fortuna “Ho avuto una fortuna nella vita: possedere l’incoscienza di non aver dietro le spalle una storia e degli insegnanti”.Nel 1962, il suo periodo informale. “Il SEGNO è la cosa peculiare per il mio lavoro. La mia è stata una figurazione molto personale per circa dieci anni. Ma non sono stato capito. Tante volte mi sono sentito un pesce fuor d’acqua”.Nel 1972-1973 il desiderio di ricerca “Ho svolto un’indagine su Lucio Fontana. Pollock è un grande. Fontana ha distrutto tutto. La pittura dopo Fontana era finita”.Racconta Carlo Pace: “Nel 1973, la mia vita contro Fontana. Lui con (un) IL gesto aveva distrutto il quadro. Nell’esigenza di ridare una dimensione al quadro stesso”. Per me il senso non è lavorare per il quadro in se ma per continuare il discorso nella storia dell’arte”. Un anno importante per Pace è il 2000. “Nel 2000 nascono le cuciture. Spine dorsali di filo”. Ma cos’è la pittura si chiede Pace? Che al tempo stesso si risponde: “Uno si alza la mattina. E’ contento, prende la sua tela e inizia a disegnare il paesaggio. Io la mattina mi alzo sempre incazzato. E non posso mettermi li a dipingere il paesaggio e l’alberello. Di quadri così potrei crearne 10 al giorno. Considero ormai finita la pittura ad olio”. Ma un bel giorno Pace ritrova un pezzo fatto su carta vetro nel 1970. E lo riprende. “La carta vetro è la faccia, la pelle del quadro. La nuova pelle. Pittura identificata alla persona fisica. Dove il colore è parte della pittura e del quadro. Un modo di lavorare fondamentale per me quello con la carta vetro. Mai usata da nessuno. Un’innovazione importante. Ora ho trovato, oltre alla carta vetro classica una carta vetro da ricreare sulla tela. Sono tutte esperienze. Anche se ho sempre ripensamenti quando mi addormento pensando alle mie tele. Mi piace passare vicino ai miei quadri, ruvidi. Sono del parere che un po’ di fortuna poi ci vuole nella vita. E capita se trovi l’elemento giusto”. La GRANA con cui viene fatta la carta vetro si trova in tutti i colori. A noi colpisce quella bianca. Candida. “La musica mi piace. Non a caso i FONEMI sono tutti un discorso musicale”. E continua “Ho tante idee in testa. Tante. Disegno anche bene” e ci mostra disegni creati con la china, bellissimi, del 1953, che Pace definisce “Elogio al bel segno. Alcuni artisti fanno sempre lo stesso segno. Io credo di modificarlo”. Il 1977 è l’anno delle anatomie. Nella sua lunga carriera Carlo Pace ha utilizzato davvero qualsiasi materiale possibile per realizzare le sue opere. Anche la lavanda vaginale “Che brucia il foglio. O la carta assorbente nel 1979 con lo smalto: il suo odore non passa mai. Del 1992 lo smalto su cartoncino. Ho usato di tutto. Qualsiasi cosa”. Poi, con sguardo vivace ed un ghigno sornione aggiunge “L’unica cosa che non ho fatto sai cos’è stata? Cercare di farmi un nome. Una notorietà. Me ne sbattevo. Come adesso”. A breve sarà allestita una mostra antologica con le opere di Pace ad Alessandria, con monografia, al palazzo della Regione. Successivamente i quadri di Pace saranno i protagonisti di una mostra a Milano, alla galleria d’arte Cafiso. Qualcosa in programma anche a Vercelli, ma per ora top secret.Entriamo poi nel bunker, una stanza dall’altro lato del cortile, sorvegliata da un guardiano particolare, un manichino in legno. Ad accoglierci la tela intitolata “Occhio del quadro”. Poi tante spine dorsali , carta vetro dura, nero che predomina, nero tutto nero. Quello degli anni 70 è stato un periodo nero. E quando si parla di periodo nero, il nero è veramente nero, non c’è luce o spazio per nessun altro colore. “Ho usato anche l’olio da macchina bruciato. L’ennesimo di una serie di esperimenti che si sono ripetuti uno dopo l’altro. Poi la carta crespa, a formare una figura a soffietto. Nel decennio che va dal 1962 al 1972 ho creato delle figure che, a guardarle, possono esser sia maschi che femmine. Sono figure, e colori, a tinte forti. Pensare che all’epoca ne ho venduti tanti ed alcuni sono stati posizionati nelle camere dei bambini. Anche se non erano nati con quello scopo. A pensarci” dice ridendo “potrei affermare di aver creato i viados prima del tempo”.Alza lo sguardo Carlo Pace. Ruota la testa a destra e sinistra. Osserva le pareti. Tutto quello che ci circonda “Qui dentro c’è la mia vita”.
(UN GENIO, ndr)