domenica 31 dicembre 2006

Anselm Kiefer l'artista della storia



La storia è da sempre l’interesse principale di Anselm Kiefer , autore eclettico e artista attento al passato e alle sue ombre. Non è mai facile parlare di ciò che è stato, ma alle volte è necessario mettere in dubbio alcune certezze e trasmettere dubbi alla popolazione perché si parli di temi importanti .
Kiefer è nato a Donaueschingen ( Germania ) nel 1945 , subito dopo la guerra, appena in tempo per vedere la difficile situazione del suo paese costretto a riemergere dalle sua macerie. Gli occhi di Kiefer vedono la povertà, la paura ed i sentimenti contrapposti dei tedeschi che sperano nel futuro ma che temono il presente. Nel 1965 intraprende studi di legge ma l’anno successivo passa alla pittura , la sua vera passione. Incontra Joseph Beuys ed è forse anche grazie a lui che sviluppa una sensibilità particolare per alcuni materiali considerati meno nobili e “ poveri “ .
Kiefer ama la storia, quella che scotta e che si fa sentire , che pulsa ancora oggi e che molto spesso ci richiama ad alcune meditazioni necessarie e non scontate. Come per esempio “ Gerusalemme “ , un titolo che come si dice , è tutto un programma con un nome di città Kiefer rievoca ricordi e sensazioni di oggi ( la tragica situazione attuale nelle terre contese fra israeliani e palestinesi ) e del passato (la persecuzione e l’olocausto ). La tela sembra quasi squarciata e molti elementi sono irriconoscibili , forse abbiamo davanti la città santa ma chi può dirlo e soprattutto chi la scorge bene? I colori e la tecnica possono richiamare all’action painting di Pollock e spiazzano lo spettatore che si immagina con estrema facilità ciò che non c’è e che di sicuro non vede. Ma in realtà Kiefer con “ Gerusalemme “ non vuole trattare della storia del popolo israelita ma vuole richiamare alla mente il passato tedesco, ciò che fu per la nazione tedesca. La contestazione è il sale delle vita di Kiefer che negli anni settanta con una serie di opere denominate “ occupazione “ e con alcune azioni sui luoghi simbolo del nazismo, si fa notare ed apprezzare in vari casi dall’ambiente intellettuale tedesco e non solo. Da allora Kiefer si ferma , la sua biografia ci dice poco o nulla , come se il furore in parte fosse svanito oppure fosse stato ridimensionato. Lo spettro degli errori e del passato torna sempre , anche in “ Margarete “ tela che riporta alla mente lo sterminio degli ebrei e l’infamia di quell’atto. Vi è nelle opere di Kiefer un pathos , una tensione emozionale difficile da dimenticare perché ci si perde dentro i ricordi , dietro a ciò che è stato e che in parte è ancora oggi. Margarete è un nome comune fra gli ebrei e può essere quello di ognuno dei deportati e soprattutto delle donne che hanno subito maggiormente questa infamia. Un' altra opera significativa è "Nigredo“, del 1984, ennesimo tentativo da parte di Kiefer di analizzare la storia senza pregiudizi o insegnamenti accademici . Un campo parrebbe mostrarsi davanti a noi , una zona di contadini e di lavoratori della terra potrebbero arare questo campo , ma dove sono finiti tutti ?
Mi ha sempre colpito nei quadri di Kiefer l’assenza totale di uomini e di donne nei suoi soggetti , appaiono raramente , in casi del tutto eccezionali. La storia è fatta dagli esseri umani ma loro non compaiono mai , come se fossero stati risucchiati dal passato stesso , solo luoghi e zone irriconoscibili sono degni di essere rappresentati. Alla fine degli anni ottanta Kiefer comincia a farsi notare anche grazie ad una vasta tournee di mostre ed esposizioni : Chicago, Filadelphia , Los Angeles e New York e poi arriva il turno dell’Italia con Venezia nel 1997 e a Bologna nel 1999. Dagli anni ’90 Anselm divide il suo studio fra Buchen e Gerusalemme, luogo quest’ultimo dove la storia sta tracciando le sue trame. Ma questa è storia quella che Kiefer un giorno analizzerà a suo modo e senza pregiudizi.



Per chi fosse interessato a quest'artista citiamo di seguto i luoghi e le date dove poterlo vedere:

fino al 10.2.2008
Mythologies Walker Art Center, Minneapolis, MN

fino al 25.3.2007
La Collection Musée d'art contemporain de Montréal, Montreal, Quebec

fino al 10.2.2007
NEW ACQUISITIONS Galerie Bruno Bischofberger, Zurigo

fino al 30.1.2007
War, Moon, Anselm Kiefer Galerie Daniel Blau, Monaco di Baviera

fino al 21.1.2007
Anselm Kiefer - Heaven and Earth San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco, CA

fino al 15.1.2007
The Past Made Present: Contemporary Art and Memory MFAH - Museum of Fine Arts, Houston, TX

venerdì 29 dicembre 2006

Pietro Annigoni il pittore moderno della realtà



"Pietro Annigoni adotta forse una delle più strane posizioni nella storia dell’arte contemporanea: la posizione di un artista che da decadi è accettata senza alcuna riserva, o che è rifiutata totalmente; che per alcuni rappresenta tutto, per altri assolutamente niente” (Nicolò Rasmo, 1961).
Annigoni, nato a Milano nel 1910, passava, sin da quando era ragazzo, molte ore alla Biblioteca Ambrosiana per studiare i disegni di Leonardo come degli altri grandi maestri. Già all’età di 17 anni egli ha iniziato a frequentare l’Accademia di Arte a Firenze. L’apprendistato non solo ha formato Annigoni come artista, ma anche la sua completa personalità, gli ha permesso di conoscere amici di lunga data e ha contribuito allo sviluppo delle conoscenze, facendolo diventare un grande uomo di cultura. Già dall’età di 20 anni Annigoni ha fatto mostre sia a Milano che a Firenze. A quel tempo lui dipingeva un grande numero di disegni e opere che rispecchiavano il suo mondo : ritratti di amici, delle persone che incontrava nelle piccole taverne o nei pubs, o degli uomini di strada. Quale giovane mente impetuosa, già dall’inizio coinvolta nelle feroci controversie dei nuovi gruppi e movimenti artistici emergenti degli anni ‘30, egli sottoscrisse il “Manifesto dei Pittori Moderni della Realtà” pubblicato nel 1947, nel quale dichiarò un’aperta presa di posizione contro l’astrattismo dell’arte moderna. Ma subito dopo si ritirò nella solitudine del suo studio e seguì il suo stile personale che non potrebbe essere classificato come appartenente a qualche gruppo. Forse è anche per questo che i critici divergono così tanto. Bernard Berenson, conoscitore dell’arte Fiorentina Rinascimentale, considerava Annigoni non solo uno dei migliori pittori del suo Secolo, ma anche uno dei più grandi in assoluto. Anche De Chirico aveva per lui una grande stima come pittore dotato di grande talento. Altri, come Carlo Carrà, consideravano le sue opere anacronistiche e negavano che ci fosse un’abilità tecnica nei suoi lavori. Ma ancora più amaro era il fatto che Annigoni fu più o meno completamente ignorato e che fu discreditato per molti anni. Durante l’era del fascismo e gli anni successivi egli non ricevette nessuna commissione pubblica, non fu mai stato designato all’Accademia delle Arti, e non ebbe mai la possibilità di insegnare.
Annigoni cercò un nuovo campo d’azione e finalmente lo trovò in Gran Bretagna, dove andò nel 1949. La sua partecipazione ad una mostra della Royal Accademy a Londra nel 1949 fu un successo ridondante. Gli inglesi lo celebrarono come il continuatore della tradizione occidentale. Ma prima di tutto egli attirò l’attenzione come un eccellente pittore di ritratti, con il risultato che ottenne l’accesso ai ranghi più alti della società. Nel 1954 egli realizzò il famoso ritratto di Sua Maestà la Regina Elisabetta II di Inghilterra, che gli apportò la reputazione del “Pittore delle Regine”, una reputazione che a lui non piaceva, ma che aveva sicuramente appianato la sua strada artistica. Per un grande numero di mostre in Inghilterra, tra le quali molte alla Royal Accademy, a Wildenstein (1950-54), a Agnew (1952-1954), all’Associazione delle Arti Britanniche (1961), Annigoni divenne molto conosciuto. Tra le mostre personali tenute in Italia, invece, appaiono particolarmente importanti quelle di: Torino, Roma, Firenze, Verona, Brescia, Montecatini Terme, Bergamo, Rovereto e, per l'enorme successo, le due realizzate a Milano, alla Galleria Cortina (1968), e alla Galleria Levi (1971). L'ultimo periodo della sua vita, quello cioè compreso tra l'inizio degli anni settanta e il 1988, fu per Annigoni l'artisticamente più profiquo. Pietro Annigoni muore a 78 anni nella sua casa di Firenze. Diceva di lui Bernard Berenson: "Pietro Annigoni, non solo è il più grande pittore di questo secolo, ma è anche in grado di competere alla pari con i più grandi pittori di tutti i secoli" e "..rimarrà nella storia dell’arte come il contestatore di un’epoca buia..".

martedì 26 dicembre 2006

Ricordo di Emilio Vedova


Poche settimane prima di lui se n'era andata l'amata moglie, Anna Maria, mentre esattamente due mesi fa è morto a Venezia Emilio Vedova: era uno di quei non tanti artisti italiani che, negli anni Cinquanta, con la potenza del loro gesto, si inserirono di diritto nello scenario internazionale per restarvi vita natural durante. Con pieno merito: il suo segno, il suo gesto forte, espressionista, astratto, i suoi inserti rossi, l'uso di materiali come il legno, la carta, il vetro, il rifiuto di tante formalità, la tensione tra i bianchi e i neri ne hanno fatto un innovatore e un protagonista della dirompente stagione dell'informale. E sempre con una cifra molto personale, rigorosa e coerente. Come coerente è stata la sua vita. Nato a Venezia il 9 agosto del 1919, tenne la sua prima mostra nel 43 a Milano, nel 46 con Ennio Morlotti elaborò il manifesto «Oltre Guernica» (la città spagnola bombardata dai nazisti) e fu tra i fondatori della Nuova Secessione artistica italiana-Fronte nuovo delle arti. Nel 55 fu a «Documenta», la rassegna di Kassel che stava lanciando le avanguardie post-belliche nell'universo artistico e dove tornò per altre tre volte. Nel 60 ottenne il Gran premio per la pittura alla Biennale e nel 97 la mostra veneziana, doverosamente, gli consegnò il premio alla carriera. Persona burbera e dolce, che a qualcuno sembrava brusca ma perché non amava i fronzoli e i salamelecchi, fu felice di quel riconoscimento. Non che ne avesse bisogno da un punto di vista di stima internazionale, né da un punto di vista economico, perché i suoi dipinti dalle superfici grezze, con escrescenze e incassi, valgono montagne di soldi. Ne fu felice anche perché lo festeggiava Venezia, città alla quale rimase sempre legato: soprattutto alle spinte radicali di artisti che sentiva affini. La sua pittura aveva ritmo, dissonanze, il ritmo e le dissonanze del tempo che la figurazione allora non potevano appagare.
Il personaggio Emilio Vedova è però uno di quelli che non si dimenticano facilmente, la recita faceva parte del suo carattere e provava, in questo, un certo compiacimento. D'altronde egli stesso faceva di tutto per alimentare l'aneddotica che gli fioriva attorno. Un esempio? Qualche anno addietro, due ufficiali della Guardia di Finanza erano andati nel suo studio fingendosi interessati all'acquisto di alcuni dipinti. «Quanto costa, questo?». «Due-tre milioni», rispondeva la moglie Annabianca, che aveva capito chi erano i due. «Ma che dici, sei impazzita, per quel quadro ci vogliono cento milioni!», urlava Emilio, dal fondo dello studio. La scena s'era ripetuta più volte, anche se la moglie aveva cercato di avvertirlo con gesti e gestacci. Finale? Un miliardo e 200 milioni di multa (ridotta, poi, a un miliardo). L'anno dopo, una seconda visita. Stavolta, Vedova aveva capito tutto e subito. Così, dopo essersi allontanato, s'era ripresentato nudo: «Così mi avete lasciato l'altra volta», aveva detto agli agenti esterrefatti.
Vedova ha sempre agito come una forza della natura. L'artista veneziano — che di Venezia, ormai, era diventato un elemento del paesaggio come San Marco e l'isola di San Giorgio — viveva i suoi dipinti. Una pennellata era un colpo di nervi, un gesto bilioso e selvaggio. E del selvaggio aveva anche l'aspetto, l'istinto vigile. Natura e carattere si fondevano, diventavano ritmo. Angoscia e lirismo, lucidità e pazzia. Di un finto pazzo, però, che in realtà era un genio.


mercoledì 13 dicembre 2006

Il N.1 del 2006 è Pablo Picasso


Il N.1 dell'anno 2006 è Pablo Picasso, secondo il sito Artfacts.net e la sua Artist Ranking, infatti, l'artista spagnolo supera, per la prima volta in cinque anni, il "rivale di esposizioni" Andy Warhol. Che cos'è l'Artist Ranking? L'Artist Ranking classifica semplicemente gli artisti secondo l´attenzione professionale che viene investita su di loro. Questo sistema fa si che il grande pubblico intuisca su quale livello, uno specifico artista, è collocato nel giudizio dei professionisti, mantanendosi peró indipendente dal successo economico dell´artista. Ogni mostra ha uno specifico valore a seconda della sua importanza. Questi valori derivanti dalle mostre vengono chiamati punti. Tutti gli artisti che partecipano a delle esposizioni, ricevono annualmente la somma dei punti corrispondenti a ciascuna esposizione. Piú alto é l´ammontare dei punti di un artista, piú alta é la sua posizione nella scala. L´artista col piú alto numero di punti sará al primo posto nella scala, l´artista col secondo numero piú alto di punti sará collocato al secondo posto e cosí via.


Biografia di Pablo Picasso


Pablo Picasso nacque a Malaga, in Spagna, da un padre, insegnante nella locale scuola d’arte, che lo avviò precocemente all’apprendistato artistico. A soli quattordici anni venne ammesso all’Accademia di Belle Arti di Barcellona. Due anni dopo si trasferì all’Accademia di Madrid. Dopo un ritorno a Barcellona, effettuò il suo primo viaggio a Parigi nel 1900. Vi ritornò più volte, fino a stabilirvisi definitivamente.
Dal 1901 lo stile di Picasso iniziò a mostrare dei tratti originali. Ebbe inizio il cosiddetto «periodo blu» che si protrasse fino al 1904. Il nome a questo periodo deriva dal fatto che Picasso usava dipingere in maniera monocromatica, utilizzando prevalentemente il blu in tutte le tonalità e sfumature possibili. I soggetti erano soprattutto poveri ed emarginati. Picasso li ritraeva preferibilmente a figura intera, in posizioni isolate e con aria mesta e triste. Ne risultavano immagini cariche di tristezza, accentuata dai toni freddi (blu, turchino, grigio) con cui i quadri erano realizzati.
Dal 1905 alla fine del 1906, Picasso schiarì la sua tavolozza, utilizzando le gradazioni del rosa che risultano più calde rispetto al blu. Iniziò quello che, infatti, viene definito il «periodo rosa». Oltre a cambiare il colore nei quadri di questo periodo cambiarono anche i soggetti. Ad essere raffigurati sono personaggi presi dal circo, saltimbanchi e maschere della commedia dell’arte, quali Arlecchino.
La svolta cubista avvenne tra il 1906 e il 1907. In quegli anni vi fu la grande retrospettiva sulla pittura di Cezanne, da poco scomparso, che molto influenza ebbe su Picasso. E, nello stesso periodo, come molti altri artisti del tempo, anche Picasso si interessò alla scultura africana, sulla scorta di quella riscoperta quell’esotico primitivo che aveva suggestionato molta cultura artistica europea da Gauguin in poi. Da questi incontri, e dalla volontà di continua sperimentazione che ha sempre caratterizzato l’indole del pittore, nacque nel 1907 il quadro «Les demoiselles de Avignon» che segnò l’avvio della stagione cubista di Picasso.
In quegli anni fu legato da un intenso sodalizio artistico con George Braque. I due artisti lavorarono a stretto contatto di gomito, producendo opere che sono spesso indistinguibili tra loro. In questo periodo avvenne la definitiva consacrazione dell’artista che raggiunse livelli di notorietà mai raggiunti da altro pittore in questo secolo.
La fase cubista fu un periodo di grande sperimentazione, in cui Picasso rimise in discussione il concetto stesso di rappresentazione artistica. Il passaggio dal cubismo analitico al cubismo sintetico rappresentò un momento fondamentale della sua evoluzione artistica. Il pittore appariva sempre più interessato alla semplificazione della forma, per giungere al segno puro che contenesse in sé la struttura della cosa e la sua riconoscibilità concettuale.
La fase cubista di Picasso durò circa dieci anni. Nel 1917, anche a seguito di un suo viaggio in Italia, vi fu una inversione totale nel suo stile. Abbandonò la sperimentazione per passare ad una pittura più tradizionale. Le figure divennero solide e quasi monumentali. Questo suo ritorno alla figuratività anticipò di qualche anno un analogo fenomeno che, dalla metà degli anni ’20 in poi, si diffuse in tutta Europa segnando la fine delle Avanguardie Storiche.
Ma la vitalità di Picasso non si arrestò lì. La sua capacità di sperimentazione continua lo portarono ad avvicinarsi ai linguaggi dell’espressionismo e del surrealismo, specie nella scultura, che in questo periodo lo vide particolarmente impegnato. Nel 1937 partecipò all’Esposizione Mondiale di Parigi, esponendo nel Padiglione della Spagna il quadro «Guernica» che rimane probabilmente la sua opera più celebre ed una delle più simboliche di tutto il Novecento.
Negli anni immediatamente successivi la seconda guerra mondiale si dedicò con impegno alla ceramica, mentre la sua opera pittorica fu caratterizzata da lavori «d’après»: ossia rivisitazioni, in chiave del tutto personale, di famosi quadri del passato quali «Les meninas» di Velazquez, «La colazione sull’erba» di Manet o «Le signorine in riva alla Senna» di Courbet.
Picasso è morto nel 1973 all’età di novantadue anni.


Per chi fosse interessato a quest'artista ricordiamo i luoghi e le date dove poterlo vedere:


fino al 17.6.2007
The Persisten Figure in Modern Sculpture The Baltimore Museum of Art, Baltimore, MD

fino al 6.5.2007
The Romance of Modernism: Paintings and Sculpture from the Scott M. Black Collec MFA - Museum of Fine Arts, Boston, Boston, MA

fino al 6.5.2007
Von Edvard Munch bis Barnett Newman – Die Sammlung der Neuen Nationalgalerie Neue Nationalgalerie, Berlino

fino al 22.4.2007
Back to the Future - Re-Viewing the Twentieth Century The RISD Museum, Providence, RI

fino al 28.3.2007
Spanish Painting Solomon R. Guggenheim Museum, New York, NY

fino al 11.3.2007
Picasso - La Joie de Vivre 1945 - 1948 Palazzo Grassi, Venezia

fino al 5.3.2007
Orangerie, 1934 - les Peintres de la réalité Musée national de lOrangerie, Parigi

fino al 28.2.2007
Picasso. Muses and Models Museo Picasso Málaga, Málaga

fino al 28.2.2007
Picasso La Californie Helly Nahmad Gallery, Londra (Inghilterra)

fino al 18.2.2007
Picasso i el circ Museo Picasso, Barcellona

fino al 4.2.2007
Five Centuries of European Portraiture Nagoya - Boston Museum of Fine Arts, Nagoya

fino al 29.1.2007
Le mouvement des images Centre Pompidou - Musée National d´Art Moderne, Parigi

fino al 28.1.2007
Picasso and American Art Whitney Museum of American Art, New York, NY

fino al 28.1.2007
Was ist Plastik? 100 Jahre - 100 Köpfe- Das Jahrhundert moderner Skulptur Stiftung Wilhelm Lehmbruck Museum • Center of International Sculpture, Duisburg

fino al 21.1.2007
Picasso und das Theater Schirn Kunsthalle, Francoforte sul Meno

fino al 14.1.2007
Picasso - Malen gegen die Zeit Albertina, Vienna

fino al 14.1.2007
Braque - Miró - Picasso. Die Protagonisten der Moderne Graphikmuseum Pablo Picasso Münster, Münster

fino al 14.1.2007
Von Monet bis Mondrian Albertinum - Galerie Neue Meister, Dresda

fino al 10.1.2007
ACCROCHAGE KUNSTKABINETT, Regensburg

fino al 9.1.2007
Picasso XRAYS - Photographies Xavier Lucchesi Musée National Picasso, Parigi

fino al 8.1.2007
Picasso - Berggruen - Une collection pariculière Musée National Picasso, Parigi

fino al 7.1.2007
The Guggenheim Collection Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepubilk Deutschland, Bonn
fino al 7.1.2007
Barcelona and Modernity The Cleveland Museum of Art, Cleveland, OH

fino al 7.1.2007
Cézanne to Picasso. Ambroise Vollard, Patron of the Avant-Garde The Metropolitan Museum of Art, New York, NY

fino al 7.1.2007
Collecting Modernism- European Modernism from the Munson Williams-Proctor Art M Museum of Fine Arts, Museum of New Mexico, Santa Fe, NM

fino al 7.1.2007
Der Künstler als Gaukler Graphikmuseum Pablo Picasso Münster, Münster

fino al 7.1.2007
Picasso: Paixão e Erotismo Museu Oscar Niemeyer, Curitiba

fino al 2.1.2007
Picasso Nasjonalmuseet for kunst, arkitektur og design, Oslo

fino al 31.12.
Picasso / Miro / Ernst / Poliakoff / Hartung / Chill Galerie Art 204, Düsseldorf

fino al 31.12.
Printmaking The Detroit Institute of Arts, Detroit, MI

fino al 30.12.
Masterworks Richard Gray Gallery, New York, NY

fino al 17.12.
A Lighter Touch Auckland Art Gallery, Auckland

fino al 16.12.
Accrochage - von Albers bis Warhol Galerie Renée Ziegler, Zurigo

venerdì 1 dicembre 2006

Arman il maestro del Nouveau Réalisme



Il Nouveau Réalisme è uno dei movimenti più importanti tra quelli che hanno caratterizzato la stagione artistica degli anni '60, di diretta derivazione dalle avanguardie dadaiste di inizio secolo, delle quali riprende l'atteggiamento dissacrante nei confronti dell'arte tradizionale: rappresenta la risposta europea al movimento New Dada americano, anch'esso di derivazione dadaista, che diventerà poi Pop Art. Poichè, negli anni immediatamente precedenti, nel frattempo si è sviluppata ed ha fatto scuola l'action painting di Pollock, della quale è giunta l'eco anche in Europa, per il naturale processo di osmosi che lega tutti i fenomeni della storia non solo dell'arte, nel Nouveau Realisme ne ritroviamo qualche contaminazione sotto forma della valorizzazione che viene fatta dell'azione dell'artista sull'oggetto e delle possibilità di intervenire su di esso, anche in termini fortemente incisivi.
All'interno di questo movimento si distingue Arman, al secolo Armand Fernandez, nato a Nizza nel 1928; l'artista è uno dei fondatori del movimento e crea immediatamente uno stile molto personale, esso infatti si appropria degli oggetti della strada: li spezza, li assembla, li comprime e li colpisce di vampe di colore, arricchendoli di drammaticità. Partendo dagli oggetti raccolti dalla strada arriva alla loro de-strutturazione trasformandoli quindi "in massa e colore" mediante un processo di contaminazione. L'opera di Arman non può avere confini limitati, non è pura pittura, non è pura scultura. Lui stesso si definisce "un peintre qui fait de la sculpture". Infatti anche nelle sue opere "frontali" - definite "superfici", perché come egli stesso sostiene "anche nelle mie composizioni volumetriche la mia volontà è sempre pittorica più che scultorea" - la sua nozione del volume è lontana da quella degli scultori "puri".
Nouveau Réalisme per Arman significa assemblare oggetti che la nostra società reputa marginali e insignificanti, puntando l'attenzione su ciò che non notiamo ed esaltando così il valore di ciò che utilizziamo quotidianamente: come uno strumento musicale che emette melodie e crea emozioni, ma che nella poetica di Arman viene spaccato, sezionato e non trasmette suoni. Diviene così un articolo di "contemplazione", facendoci ricordare che in ogni oggetto che ci circonda è contenuto "ingegno". Questo concetto Arman lo esprime attraverso la musicalità dei colori.
"Nella ricerca di nuove creazioni - scrive Arman - ho in maniera cosciente esplorato il settore dei rifiuti, degli scarti, degli oggetti manufatturati scartati, in una parola: gli inutilizzati. (...) Io affermo che l'espressione dei rifiuti, degli oggetti, possiede il suo valore in sé, direttamente, senza volontà di ordinamento estetico, cancellandoli o rendendoli simili ai colori di una tavolozza. (...) In questo procedimento noi possiamo considerare che l'oggetto scelto non è in funzione dei criteri DADA o SURREALISTA; non si tratta di decontestualizzare un oggetto dal suo substrato utilitario, industriale o altro per dargli, per una scelta di presentazione o un inclinazione del suo aspetto, una determinazione diversa dalla propria. ... Ma la questione al contrario è di ricontestualizzarlo in se stesso in una superficie sensibilizzata x volte dalla sua presenza duplicata; ricordiamo la frase storica: mille metri quadrati di blu sono più blu di un metro quadrato di blu, io dico dunque che mille contagocce, sono più contagocce che un solo contagocce."



Per chi fosse interessato a quest'artista citiamo di seguito i luoghi e le date dove poterlo vedere:

fino al 15.2.2007
des sculpteurs à l’épreuve de l’estampe au XXe siècle

fino al 28.1.2007

fino al 14.1.2007

fino al 1.1.2007

fino al 12.12.

giovedì 30 novembre 2006

Ron Mueck e l'iperrealismo


Cos'e l'iperrealismo?

L'iperrealismo è una corrente dell'arte contemporanea americana, nata negli Stati Uniti all'inizio degli anni Settanta e poi diffusasi in Europa. Chiamata anche superrealismo, realismo radicale, realismo fotografico, iperfotografismo, l'iperrealismo rifiuta la realtà, proponendone una riproduzione meccanica, spesso a partire dalla sua immagine fotografica ingrandita. Ne risulta dunque una visione che va al di là della realtà, stravolgendola. Pur derivando dalla Pop-art, l'iperrealismo non si propone come satira, giungendo talvolta ad un virtuosismo esasperato.


Chi è Ron Mueck?

Attualmente Ron Mueck è uno dei più importanti iperrealisti viventi ma le vicessitudini della sua vita l'hanno portato a diventare artista molto tardi.
Nato in Australia da genitori tedeschi, ha viaggiato per gli Stati Uniti, vive a Londra e per venti lunghissimi anni non ha avuto nulla a che fare con l’arte intesa nel senso stretto del termine. Il suo curriculum vitae è una giungla di importanti esperienze in programmi per l’infanzia, effetti speciali per il cinema, pubblicità. L’utilizzo del silicone e di materiali acrilici a cui ci ha abituati non è nulla di nuovo, è un’abilità già padroneggiata per film come “The Storyteller” e “Labyrinth” di Jim Henson. Tuttavia tra il 1996 e il 1997 Ron Mueck prese con tutta probabilità la decisione di applicare le sue capacità ad altri ambiti, e così nel 1997 ha fatto il suo ingresso nel mondo dell’arte nel modo più clamoroso: con la mostra “Sensations: Works of art from the Saatchi Collection” alla Royal Accademy di Londra, presentata più tardi anche alla Hamburger Bahnhof a Berlino. La sua attuale solitaria alla Hamburger Bahnhof (Berlino) trasporta i visitatori nel suo mondo fatto di sculture figurative alle quali manca solo l’alito vitale. È solo questo? È solo la sua grande abilità manuale a trasformare i suoi pezzi in opere d’arte, a suscitare nei visitatori un miscuglio di sentimenti, ma mai indifferenza? Noi pensiamo ci sia molto di più che la pura realtà di un corpo umano e delle sue crude imperfezioni (brufoli, peli sgradevoli, unghie tagliate male, capillari rotti) che “Wow, sembrano proprio veri!”. Tutte queste sculture quasi vive sono vulnerabili. E non certo a causa delle loro imperfezioni, ma perché sono rappresentate in momenti privati durante i quali essere al centro dell’attenzione sarebbe imbarazzante o spiacevole quasi per chiunque.Gravidanze allo stadio più avanzato, nudità, la scoperta della propria immagine allo specchio, invecchiamento. Mueck potrebbe facilmente ferirli. Non lo fa. Li protegge con lo loro stessa dignità, con la loro stessa integrità. Shockare, offendere, ferire: in qualche modo risulta facile. Occuparsi di esseri umani (anche se, in questo caso, fittizi, essendo essi il prodotto di una mente prolifera) in tali momenti e in un modo così delicato è più difficile.

Per chi fosse interessato a quest'artista consigliamo di visitare la sua mostra in attuale svolgimento fino al 04 Febbraio 2007 al Brooklyn Museum of Art di New York (se possibile anche il nostro BLOG la visiterà ed, eventualmente, ve ne darà conto in un esaudiente post). Per ulteriori informazioni sulla mostra consultate il sito http://www.brooklynmuseum.org/




martedì 28 novembre 2006

Ricordando Tiziano Terzani


A due anni e quattro mesi dal suo, come diceva lui, lasciare il suo corpo è giusto ricordare quello che è, probabilmente, il più grande dei giornalisti italiani. Chi l'ha conosciuto, come me, solo attraverso i suoi libri trova una perfetta corrispondenza con i racconti di chi l'ha apprezzato in vita e ne parla in maniera entusiastica ancora al presente; Terzani è stato, soprattutto culturalmente, uno dei giornalisti più straordinari per la sua capacità di capire gli altri e di comprendere la realtà da tutti i punti di vista, non si è mai legato a restrittivi idealismi ma ha invece cercato la verità laddove ancora sfugge alla furia dell'occidentalismo, laddove è ancora pura.


Pubblico di seguito una delle ultime interviste rilasciate da Terzani al quotidiano "la Repubblica", sono sicuro che incentiverà, chi non lo conosce ancora, a leggere i suoi libri .


IL MIO ULTIMO VIAGGIO.

Un'intervista inedita a Tiziano Terzani.di Fabrizio Revelli È un saluto in extremis, ma ironico, gioioso, nello stile di un grande reporter che racconta se stesso.Sono due risate, che esplodono dalla gran barba bianca, ad aprire e chiudere l'intervista. C'è la curiosità irriducibile del grande giornalista, che ci racconta come un reportage sette anni di battaglia contro il cancro. C'è la sua strepitosa faccia da pirata, la voce tonante, l'ironia, l'orgoglio del fiorentino che «la sa sempre lunga» ma infine supera la barriera del proprio scetticismo.E c'è tutta la forza di Tiziano Terzani, dell'uomo bello e vitale che sta per abbandonare in serenità il proprio corpo, del vecchio reporter di guerra che maledice ogni guerra, nell'intervista televisiva che Mario Zanot ha realizzato e che Rete 4 trasmetterà lunedì prossimo. È stata girata il 27 e 28 maggio scorsi, esattamente due mesi prima della morte di Terzani. Repubblica l'ha vista in anteprima. Si intitola "Anam, il senzanome": così Terzani aveva scelto di chiamarsi nei tre mesi passati in un ashram indiano, nel tentativo di tagliare i ponti col mondo dei sensi, dei desideri, di «ritirare gli anni e la testa nel guscio come fa la tartaruga e prepararsi a lasciare la vita». È questo intento che gli aveva fatto declinare, in un primo tempo, l'offerta di una intervista televisiva su di sé: «Alla fine della mia vita - scriveva a Zanot - non voglio ricadere nella orribile trappola dell'ego che, assieme a quella dei desideri, ho dedicato recentemente molto tempo a distruggere. Giustamente lei suggeriva come titolo del suo lavoro Anam, punto di arrivo di quel tentato azzeramento dell'Io. Fare oggi un documentario su di me, ex-Tiziano Terzani diventato Anam, significherebbe in fondo tradire il lavoro a cui ho dedicato gli ultimi anni». Il regista insiste, e riesce a strappargli una promessa: poter registrare con la telecamera almeno un suo sorriso, o una risata. Terzani acconsente («Una risata non la si nega a nessuno»), e infine quell'attimo si dilata in due giorni di racconto.E comincia con una risata. «Un tumore? Ne ho vari, un po' di qua, un po' di là. Ma la cosa divertente è che ci convivo da sette anni. Beh, non credo che durerà molto a lungo. Ma la cosa curiosa, la cosa interessante è che io e quelli siamo una cosa sola, e sarebbe stupido pensare: loro ammazzano me, io ammazzo loro. Ce ne andiamo insieme perché siamo cresciuti insieme. E con questo voglio dire che per me questo cancro è stata una grande benedizione. Perché ero ricaduto nella routine della vita e questo cancro mi ha salvato. Perché finalmente all'invito di un ambasciatore a cena, a una conferenza stampa, a un viaggio a cui non ero più interessato, io potevo sottrarmi. Io ho il cancro. Il cancro è diventato una sorta di scudo, di barriera, di divisione tra me e il mondo da cui volevo staccarmi».In seguito verrà il lungo viaggio attraverso medicine alternative, luoghi di meditazione orientale, santoni e lama tibetani. Ma, quando arriva la rivelazione del «malanno», Terzani sceglie la ragione e la scienza: «Io ero vissuto in Asia fino ad allora quasi trent'anni.Ma quando si è trattato di scegliere che cosa fare non è che mi sono affidato a uno con il pendolo, o all'altro con delle pozioni magiche raccolte nella foresta. Io sono andato nel più grande centro di cancro del mondo e mi sono affidato alla ragione e alla scienza, della quale conoscevo bene i limiti, e durante la terapia questi limiti sono saltati agli occhi. Però ho fatto questo».A New York dagli «aggiustatori»: «Però bravi, bravi, a loro modo bravi. Non devo assolutamente disprezzare il loro lavoro. Tutto sommato mi hanno tenuto a giro ancora per sette anni». Quella New York dove già una volta era fuggito, a imparare il cinese dopo cinque anni di lavoro all'Olivetti: «Allora già una volta New York mi aveva salvato e di nuovo torno in questa città, meravigliosa e orribile nella sua violenza, per cercare la salvezza. E questa contraddizione l'ho sentita molto forte, perché in fondo c'era qualcosa di ideologicamente sbagliato in quello che facevo. Cioè, disprezzavo questa macchina di guerra e di violenza che l’America è. Per cui, come una grande macchina di guerra, è anche una grande macchina di guerra contro il cancro. E io, disprezzando un aspetto, andavo lì e mi facevo curare da questi qua. Infatti mi è piaciuto molto alla fine, quando sono andato dopo tutti questi anni per l’ultima visita, e mi hanno detto che non c’era più niente da fare… E ho trovato che la migliore cosa che potevo fare era tornare a vivere in pace nella mia baita, senza più medicine, senza più contraddizioni, senza più questo senso che andavo a chiedere aiuto a qualcuno che poi disprezzavo per altri versi».Al centro c'è la malattia, combattuta con ogni mezzo, tra medici e guaritori, chemio e stravaganze.Mesi a New York, da solo, il racconto della «Ragna», la macchina della radioterapia: «Questa macchina, la Ragna l'ho chiamata, era buffissima. Era in questa stanza, piena di luci, stranissima, con questa testa e questo busto, tonda con tutte le luci... ». Le mutazioni del corpo: «Entravo nel bagno, guardavo lo specchio e c'era uno che mi sorrideva, ma non ero io. Glabro, senza capelli, gonfio di chemioterapia. E mi continuava a sorridere». Poi, «la grande avventura», il viaggio per il mondo alla ricerca di una salvezza alternativa: «Strada facendo — e io adoro viaggiare, è il mio modo di reagire a tutto, anche a questo ho reagito viaggiando, mettendomi sulla strada, vivendo delle avventure — mi sono reso conto che in verità io non volevo una medicina per il mio cancro, volevo una medicina per quella malattia che è di tutti, che non è il cancro: la mortalità».Un viaggio che il gran curioso Terzani racconta con ironia, con stupore: «Cose curiose ne ho fatte di tutti i colori. Lavaggio del colon, dieci giorni in un'isoletta della Thailandia con digiuni completi e clisteri di 18 litri al giorno due volte. Poi sono stato dai guaritori filippini, quelli che tolgono sangue, budellina di pollo dalle tue interiora». L’India fantastica: «Un'altra grande esperienza che ho fatto è in questo famoso ospedale ayurvedico, dove sono arrivato e la cosa che più mi ha colpito era l'elefante. C'era un elefante! Nel cortile! E ogni giorno c'era una cosa stupenda, calava il sole e iniziava un teatro meraviglioso, fino all'alba. Con suoni di cimbali, barriti di elefanti, balli, strane danze, che erano parte della cura perché i malati assistevano a questo spettacolo degli dèi scesi sulla terra, come a parte della loro terapia».E alla fine del viaggio, dopo i lama tibetani, le pozioni diluite con piscio di vacca («Ma io, fiorentino, piglio una pozione col piscio di vacca?»), le palline d'orzo, l'ashram («Ero Anam, senzanome, è stato buttare alle ortiche una cosa, come un vestito che ti sta stretto»), la conclusione: «I miracoli esistono, ma tu devi essere l’artefice del tuo». E il miracolo è l’accettazione della sofferenza, l’equilibrio ritrovato: «A un certo momento, paf, basta, chiuso. Non voglio più sentire niente di tutta questa roba, perché la cura ho capito che è un’altra. Non è la cura, è la guarigione che cerco. E la guarigione è la ricostruzione dell’equilibrio. In mezzo, l’11 settembre, l’orrore, il pensiero «che potesse essere il momento di un grande ripensamento», le Lettere contro la guerra, «dopo aver fatto per tutta la vita il corrispondente di guerra mi pareva arrivato il momento per dire che mi sentivo ormai in verità uomo di pace». Infine il ritorno all’Orsigna, alla casetta di legno che s’era costruito dove stare solo: «Per me era importante aver capito questo, che il fine della mia vita era di ristabilire un’armonia, con quel che mi circonda, con la gente a cui tengo, e con questo prepararmi all’ultimo passo della vita, che è la morte, senz’angoscia, senza la pretesa che troverò una cura». Godere di ogni giorno «come fosse un altro giro di giostra».«Io sono in pace. Sono in una condizione stupenda, sto benissimo. E il mio corpo, me ne staccherò, lo lascerò lì e andrò via». Un solo cruccio: «Mi incuriosisce morire, mi dispiace solo che non potrò scriverne». E un consiglio finale: «Ridere, io trovo che ridere è una cura, è parte della guarigione. Infatti un’altra delle terapie che ho scoperto in India è la terapia del sorriso, del ridere. Per cui il consiglio che do a tutti è cominciare con una gran risata e finire con una gran risata».

lunedì 27 novembre 2006

Chi è Maurizio Cattelan


Maurizio Cattelan, il più quotato sul mercato tra gli artisti italiani viventi, nasce a Padova nel 1960 e inizia a lavorare a Milano, realizzando oggetti non-funzionanti, in sintonia con le tendenze del concettuale. Il debutto espositivo è nel 1991, alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna, dove presenta «Stadium 1991», lunghissimo tavolo da calcetto, con undici giocatori senegalesi e altrettanti scelti tra le riserve del Cesena. Già nel 1986 aveva lanciato una provocazione, con «Untitled», del 1986, una tela squarciata in tre pezzi alla maniera di Lucio Fontana, creando però la «Z» di Zorro, che sarà il suo «marchio» negli anni successivi. L'artista si guadagna un forte riscontro dal pubblico e dal mercato dell'arte. In una performance a Milano, Cattelan attacca al muro con lo scotch il suo gallerista Massimo De Carlo.METEORITI SUL VATICANO - L'opera più nota più nota di Cattelan «La Nona Ora», scultura realizzata nel 1999 che raffigura Giovanni Paolo II abbattuto a terra sotto il peso di un enorme meteorite e circondato da vetri infranti. Al centro di molte polemiche, il lavoro è stato esposto alla Royal Academy di Londra e a Varsavia e battuto da Christiès nel 2001 per la cifra record di 886 mila dollari, all'epoca equivalenti a due miliardi di lire.LA BIENNALE AI CARAIBI - Cattelan vive a New York, ma le sue provocazioni si trovano in mezzo mondo. Ai Caraibi l'artista ha organizzato la «sesta Biennale»: peccato che non ce ne fossero mai state prima e non ne siano seguite altre. L'«installazione» consisteva in due settimane di villeggiatura gratis per gli artisti invitati e nessuna opera esposta, lasciando a bocca aperta le delegazioni di critici accorsi inutilmente. Persino con la Biennale vera, quella di Venezia, Cattelan non ha scherzato. Nel '93 ha sconvolto la laguna mettendo in scena «Lavorare è un brutto mestiere», il cui obiettivo era quello di vendere a un'agenzia di pubblicità il suo spazio espositivo.L'ASINO E I DOTTORI - A New York, sulla 20esima strada, Cattelan ha aperto una vetrina minimale, la «Wrong Gallery», dove di volta in volta viene esposto un artista. È sempre un evento e i newyorkesi ne vanno matti. Le quotazioni «stellari» delle sue opere generano spesso critiche e malumori, nel mondo dell'arte e non solo. Cattelan non si è risparmiato le sue uscite spiazzanti neanche nel giorno della laurea honoris causa conferitagli dalla facoltà di Sociologia dell'università di Trento. Identificandosi con un asino, ne ha regalato uno imbalsamato all'ateneo. Titolo dell'installazione «Un asino tra i dottori».

Apertura ufficiale BLOG.


bENVENUTI, nel primo (o almeno penso) BLOG made in PORTOMAGGIORE (FE) e indirizzato a tutti i navigatori solitari con la passione dell'ARTE e della CULTURA.