martedì 26 dicembre 2006

Ricordo di Emilio Vedova


Poche settimane prima di lui se n'era andata l'amata moglie, Anna Maria, mentre esattamente due mesi fa è morto a Venezia Emilio Vedova: era uno di quei non tanti artisti italiani che, negli anni Cinquanta, con la potenza del loro gesto, si inserirono di diritto nello scenario internazionale per restarvi vita natural durante. Con pieno merito: il suo segno, il suo gesto forte, espressionista, astratto, i suoi inserti rossi, l'uso di materiali come il legno, la carta, il vetro, il rifiuto di tante formalità, la tensione tra i bianchi e i neri ne hanno fatto un innovatore e un protagonista della dirompente stagione dell'informale. E sempre con una cifra molto personale, rigorosa e coerente. Come coerente è stata la sua vita. Nato a Venezia il 9 agosto del 1919, tenne la sua prima mostra nel 43 a Milano, nel 46 con Ennio Morlotti elaborò il manifesto «Oltre Guernica» (la città spagnola bombardata dai nazisti) e fu tra i fondatori della Nuova Secessione artistica italiana-Fronte nuovo delle arti. Nel 55 fu a «Documenta», la rassegna di Kassel che stava lanciando le avanguardie post-belliche nell'universo artistico e dove tornò per altre tre volte. Nel 60 ottenne il Gran premio per la pittura alla Biennale e nel 97 la mostra veneziana, doverosamente, gli consegnò il premio alla carriera. Persona burbera e dolce, che a qualcuno sembrava brusca ma perché non amava i fronzoli e i salamelecchi, fu felice di quel riconoscimento. Non che ne avesse bisogno da un punto di vista di stima internazionale, né da un punto di vista economico, perché i suoi dipinti dalle superfici grezze, con escrescenze e incassi, valgono montagne di soldi. Ne fu felice anche perché lo festeggiava Venezia, città alla quale rimase sempre legato: soprattutto alle spinte radicali di artisti che sentiva affini. La sua pittura aveva ritmo, dissonanze, il ritmo e le dissonanze del tempo che la figurazione allora non potevano appagare.
Il personaggio Emilio Vedova è però uno di quelli che non si dimenticano facilmente, la recita faceva parte del suo carattere e provava, in questo, un certo compiacimento. D'altronde egli stesso faceva di tutto per alimentare l'aneddotica che gli fioriva attorno. Un esempio? Qualche anno addietro, due ufficiali della Guardia di Finanza erano andati nel suo studio fingendosi interessati all'acquisto di alcuni dipinti. «Quanto costa, questo?». «Due-tre milioni», rispondeva la moglie Annabianca, che aveva capito chi erano i due. «Ma che dici, sei impazzita, per quel quadro ci vogliono cento milioni!», urlava Emilio, dal fondo dello studio. La scena s'era ripetuta più volte, anche se la moglie aveva cercato di avvertirlo con gesti e gestacci. Finale? Un miliardo e 200 milioni di multa (ridotta, poi, a un miliardo). L'anno dopo, una seconda visita. Stavolta, Vedova aveva capito tutto e subito. Così, dopo essersi allontanato, s'era ripresentato nudo: «Così mi avete lasciato l'altra volta», aveva detto agli agenti esterrefatti.
Vedova ha sempre agito come una forza della natura. L'artista veneziano — che di Venezia, ormai, era diventato un elemento del paesaggio come San Marco e l'isola di San Giorgio — viveva i suoi dipinti. Una pennellata era un colpo di nervi, un gesto bilioso e selvaggio. E del selvaggio aveva anche l'aspetto, l'istinto vigile. Natura e carattere si fondevano, diventavano ritmo. Angoscia e lirismo, lucidità e pazzia. Di un finto pazzo, però, che in realtà era un genio.


Nessun commento: