Piero Manzoni e il suo concetto di arte indipendente
Piero Manzoni nasce il 13 luglio del 1933 a Soncino (Cremona), studia per breve tempo all'Accademia di Brera a Milano e dopo un primo periodo di pittura tradizionale viene a contatto con i rappresentanti dello Spazialismo, del Gruppo Cobra e dell'Arte Nucleare, rivolgendosi così alle ricerche sperimentali. Alla fine del 1955 inizia a lavorare su motivi informali avviandosi verso la sperimentazione su diversi materiali tra cui il gesso, la colla, oggetti d'uso, catrame, ecc., definendo già da allora la prevalenza della sua ricerca nei due differenti ambiti della pittura e della banalità del reale. E' attentissimo ai fenomeni culturali più significativi del tempo di cui accetta senza riserve le influenze assimilandole totalmente e trasformandole in retroterra della sua formazione e del suo lavoro. Guarda così all'opera degli informali, in particolare Burri e Fautrier e soprattutto a quella di Fontana, che già dalla fine degli anni quaranta conduceva la sua ricerca sullo spazio e le sue proprietà fisiche e metafisiche. All'inizio degli anni Cinquanta, l'opera di Burri e Fontana rappresenta per i giovani artisti in Italia i risultati di due linee artistiche diverse ma parallele che si fronteggiano. Sia Burri che Fontana, come scrive Achille Bonito Oliva, "hanno assunto, quale loro punto di partenza, il concetto di arte come atto di espressione totale in cui l'artista si realizza, fuggendo, per mezzo della sua creazione, la natura incompleta della vita, per andare verso la completezza del prodotto artistico". Entrambi inoltre "considerano l'opera d'arte come un'estensione della propria esistenza, la quale ha trovato la sua affermazione tramite il movimento verticale della creazione. In questo modo, un cordone ombelicale lega sia l'opera all'artista che lo spazio fluente dell'immaginario allo spazio appiattito ed orizzontale del mondo quotidiano. Ne deriva perciò, in una visione mistica ed assoluta dell'arte, la speranza di allontanarsi dalla banalità tragica ed anonima della vita per via di un atto, la creazione artistica, che glorifica il valore individuale della soggettività". Sia Burri che Fontana quindi saldano insieme la materia con la forma in un unico concetto, come sola possibilità emergente dal contatto traumatico con l'esistenza e il quadro o la scultura "è la fine di un viaggio mistico nel territorio buio dell'immaginazione, un punto d'arrivo, di riferimento nella vita che si presenterebbe altrimenti come sparsa e frammentaria. L'arte, per gli artisti degli anni cinquanta, non è quindi un attività specializzata, ma un'avventura che coinvolge tutti i livelli di esistenza, che rende capace l'uomo come l'artista di vivere attraverso un'esperienza che non ha niente a che fare con l'arte intesa quale professione". Verso la fine degli anni Cinquanta alcuni giovani artisti tra cui lo stesso Manzoni si propongono in antitesi a questa teoria, intendendo l'arte come un'attività specifica e autonoma dalle necessità espressive dell'artista derivate dalla sua esistenza. Per questi artisti la creazione si fonda un progetto mentale e tecniche specifiche che portano a considerare l'opera come una realtà a parte rispetto allo scopo soggettivo dell'artista. Essi si oppongono quindi al concetto di arte come avventura liberatoria e vanno verso l'acquisizione di una coscienza più riflessiva del proprio ruolo, distinto da quello dell'opera che comincia a vedersi come conseguenza dell'operare, del fare arte. Nel 1956 Manzoni conosce l'opera di Yves Klein esposta a Milano e nel "manifesto contro lo stile" ammette come "ultime forme possibili di stilizzazione le proposizioni monocrome di Yves Klein". Assimilando questa esperienza come rivelazione, crea gli "achromes", prima con gesso inciso, poi con tele ricoperte di caolino, polistiroli, feltri, pani, pietre, che continuerà a produrre sino al 1963. "Gli Achromes di Manzoni" scrive Bonito Oliva, "sono superfici prevalentemente bianche formate con diversi materiali che organizano una porzione di spazio rinviante soltanto a se stesso. Una concezione metonimica presiede l'opera di Manzoni, sostituendo la visione metaforica, che è alla base dell'arte degli anni '50: la materia ed il taglio erano pur sempre metafore delle forze originarie della natura e tracce dello spazio reale. Gli Achromes sono soltanto ciò che si vede, una fenomenologia particolare dello spazio, ridotto ad evento visivo e concreto. Il quadro è il portato di un procedimento in cui tutti gli elementi sono sotto il controllo emotivo dell'artista che ormai tende a dare all'opera una sua identità separata ed autonoma."Contemporaneamente l'oggetto d'arte acquista di conseguenza una sua esistenza indipendente; l'artista gli conferisce creandolo una fisicità autonoma rispetto a sé, ne fa un prodotto che non ha bisogno di altro che di se stesso per essere opera d'arte". "Manzoni spezza il cordone ombelicale con l'opera e adotta un cinismo attivo che permette il controllo dell'attività e l'analisi del linguaggio. Non si crede più al valore assoluto dell'arte, ma ad un valore relativo che nasce solo dalla coscienza "metalinguistica" dell'arte, in quanto mezzo dell'espressione dell'arte a zero, alle proprie regole fondamentali, riduzione che permette una ricerca come affermazione di tautologia linguistica. L'arte viene separata dal proprio indeterminismo ed immessa all'interno di aree conoscitive più controllate e verificabili. Questo nuovo atteggiamento analitico determina un salto qualitativo ma anche politico, nel senso che l'artista non può più confondere arte e vita, risolvere le antinomie della storia mediante l'arte, può soltanto operare un approfondimento e un salto in avanti nella ricerca artistica. Alla realtà parziale del quotidiano Manzoni risponde con la totalità relativa dell'opera, che ha ormai perduto tutte le proprie allusioni ai traumi dell'esistenza ed ha invece acquistato un suo splendente superficialismo. Il Superficialismo è coscienza del carattere bidimensionale del linguaggio, della sua qualità di essere oggetto e soggetto della creazione."(Bonito Oliva)La volontà di raggiungere gli archetipi delle categorie che entrano in gioco nell'operazione artistica è radicale e affermata con estrema, ironica chiarezza e decisione da Manzoni: "(...) non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano: la trasformazione deve essere integrale. Per questo io non riesco a capire i pittori che pur dicendosi interessati ai problemi moderni, si pongono a tutt'oggi di fronte al quadro come se questo fosse una superficie da riempire, di colori o di forme, secondo un gusto più o meno apprezzabile, più o meno orecchiato. Tracciano un segno, indietreggiano guardando il loro operato inclinando il capo e socchiudendo un occhio, poi balzano di nuovo in avanti, aggiungono un altro segno, un altro colore della tavolozza, e continuano in questa ginnastica finché non hanno riempito il quadro, coperta la tela: il quadro è finito: una superficie d'illimitate possibilità è ora ridotta ad una specie di recipiente in cui sono forzati e compromessi colori innaturali, significati artificiali. Perché invece non vuotare questo recipiente? Perché non liberare questa superficie? Perché non cercare di scoprire il significato di uno spazio totale, di una luce pura ed assoluta? Alludere, esprimere, rappresentare, sono oggi problemi inesistenti (e di questo ho già scritto alcuni anni fa), sia che si tratti di rappresentazione di un oggetto, di un fatto, di un'idea, di un fenomeno dinamico o no: un quadro vale solo in quanto è, essere totale; non bisogna dir nulla: essere soltanto. (...) Non si tratta di formare, non si tratta di articolar messaggi (né si può ricorrere a interventi estranei, quali macchinosità parascientifiche, intimismi da psicanalisi, composizioni da grafica, fantasie etnografiche ecc... ogni disciplina ha in sé i suoi elementi di soluzione); non sono forse espressione, fantasismo, astrazione, vuote finzioni? Non c'è nulla da dire: c'è solo da essere, c'è solo da vivere."Ora l'opera d'arte non esprime l'urgenza di spingersi verso la vita, ma quella piuttosto di analizzare la distanza che vi intercorre e la peculiarità del linguaggio artistico rispetto a quello della comunicazione quotidiana. L'artista si considera come colui che esercita una professione specializzata con un oggetto ben individuato che è il linguaggio: il linguaggio preesiste all'opera e il suo luogo abituale è la storia dell'arte. Ma l'artista, inserito nella storia e sottoposto ai suoi contraccolpi, sente la precarietà dell'esistenza fino alla coscienza lucida dell'impossibilità di riscattarla attraverso l'immaginario. L'immaginario risponde ad alcune regole esatte che sono poi quelle del linguaggio, esso è sempre fondato dentro la realtà, ma perché si formuli nell'opera è necessario un procedimento rigorosamente analitico che scinda il disordine della vita e l'ordine dell'arte. Il procedimento analitico in Manzoni, non poggia su convenzioni precedenti, cerca di fondare un proprio metodo di verifica, contestuale all'opera, in maniera che niente esista prima e dopo di essa. Viene così a cadere quel margine di atteggiamento metafisico che pur sempre rimaneva nell'arte informale per cui l'opera è la continuazione della vita e la vita il prima e il poi dell'opera. La sua ricerca approda alle prime "linee" del '59 tracciate su fogli che poi arrotola e chiude in cilindri sui quali appare come titolo la registrazione della lunghezza e della data di esecuzione, mentre per soddisfare l'esigenza di rappresentare l'illimitato, l'infinito, eccolo nel 1960 realizzare una linea in più esemplari che chiama, facendo riferimento in ognuno di essi al loro insieme, "linea di lunghezza infinita". E ancora, proseguendo nell'intento di far coincidere il tempo dell'arte con il tempo dell'artista e con ciò che questi può fare in tale tempo, realizza i "corpi d'aria", contenitori di fiato con diametro massimo di 80 cm, ancorati su treppiede metallico, offerti in apposito contenitore; possono essere, a richiesta, gonfiati da Manzoni stesso, e in questo caso l'opera si trasforma in "Fiato d'Artista", che viene sigillato e vincolato ad una base di legno. Nell'estate del 1960 inizia i viaggi in Danimarca: ad Herning realizza la sua linea più lunga, di 7.200 metri, chiusa in un contenitore che viene consegnato alla città e interrato allo scopo di essere scoperto in seguito. Tornato a Milano apre l'esposizione "Consumazione dell'arte" in cui vengono distribuite al pubblico uova sode, ognuna delle quali recanti un'impronta dell'artista che attribuisce valore ad una materia di per sé insignificante. Anche Manzoni consuma le uova, dunque si ciba della sua stessa opera, di se stesso, e proseguendo nella puntualizzazione dei legami intercorrenti tra sé e i propri limiti corporali, giunge nel '61 ad inscatolare ed esporre 90 scatolette di "Merda d'artista", con chiaro e sarcastico riferimento anche alla mercificazione dell'arte come di qualsiasi altro prodotto della società contemporanea: "contenuto netto 30 grammi, conservata al naturale, made in Italy". Nello stesso anno lavora ad una serie di "achromes" fatti con materiali diversi: inizia ad usare quadrati di ovatta, batuffoli di cotone, peluche, fibre artificiali, carta igienica e realizza pacchi di carta di giornale sigillati. Del 1962 sono nuovi "achromes" con polistirolo espanso, con pelle o con sassi ricoperti di caolino. Ogni operazione di Manzoni, pur partendo come intuizione di genio, è lucidamente condotta sul filo della più analitica razionalità riscattata in più da qualsiasi ppericolo di saccenteria cattedratica da una quasi beffarda ironia. Scrive ancora nel 1962: "Nel 1959 avevo pensato di esporre delle persone vive (altre morte volevo invece chiuderle e conservarle in blocchi di plastica trasparente); nel '61 ho cominciato a firmare, per esporle, delle persone. A queste opere dò una carta di autenticità. Sempre nel gennaio '61 ho costruito la prima "base magica": qualunque persona, qualsiasi oggetto vi fosse sopra era, finche vi restava, un'opera d'arte. Una seconda l'ho realizzata a Kopenaghen. Sulla terza, di ferro di grandi dimensioni, posta in un parco di Herning poggia la terra: è la base del mondo. Nel mese di maggio del '61 ho prodotto e inscatolato 90 scatole di "merda d'artista" (gr. 30 ciascuna) conservata al naturale (made in Italy). In un progetto precedente intendevo produrre fiale di "sangue d'artista". Da '58 al '60 ho preparato una serie di "tavole di accertamento" di cui 8 sono state pubblicate in litografia, raccolte in cartelle (carte geografiche, alfabeti, impronte digitali...). Per la musica nel '61 ho composto due "Afonie": l'Afonia Herning (orchestra e pubblico), l'Afonia Milano (cuore e fiato). Attualmente ho in fase di studio un labirinto controllato lettronicamente, che potrà servire per tests psicologici e lavaggi del cervello" (Alcune realizzazioni, alcuni esperimenti, alcuni progetti, Milano 1962). Sempre parallela all'attività di artista vi è quella di instancabile organizzatore e promotore, all'interno della quale si colloca innanzitutto la pubblicazione della rivista Azimuth che presenta testi di poeti, critici e artisti e fa conoscere nomi internazionali quali Rauschenberg, Johns o il gruppo tedesco Zero. Pressoché tutti i fatti artistici che influenzeranno la cultura artistica degli anni a venire sono puntualmente riportati, mentre già Dorfles presenta nella rivista le sue ricerche sui fenomeni più attuali quali la comunicazione e il consumo di massa. Alla rivista segue I apertura della galleria sotterranea Azimut che si fa promotrice delle tematiche afferenti il dinamismo temporale. Muore improvvisamente di infarto a soli trent'anni, il 6 febbraio 1963, lasciando una eredità culturale verso la quale più che evidente è il debito che deve tributare tutta l'arte dei decenni successivi e in particolare il concettualismo e in particolare il comportamentismo e la body Art.
Per chi volesse approfondire quest'artista riportiamo di seguito i luoghi e le date dove poterlo vedere:
fino al 4.11.2007
Vertigo - The century of off-media art from Futurism to the web MAMbo - Galleria d´Arte Moderna di Bologna, Bologna
fino al 5.9.2007
Into Me, Out of Me MACRO - Museo d'Arte Contemporanea Roma, Roma
fino al 10.6.2007
Das Schwarze Quadrat. Hommage an Malewitsch-Gründungsbau Hamburger Kunsthalle, Amburgo